Blog a cura delle compagne e dei compagni piemontesi de "Il Sindacato è un'altra cosa opposizione in Cgil" per una Cgil indipendente, democratica, che lotta.
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1) giunge a compimento definitivo il lungo percorso che ha avuto inizio con l'eliminazione dello strumento perequativo universalistico e solidale della "scala mobile" che pur risultando conforme al dettato costituzionale (Art. 36. "Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro ...” - non alle “fortune”dell’azienda per cui lavora - in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa” – quindi... indipendentemente dal rispetto di parametri economici esogeni...) risultava incompatibile con l’introduzione di una moneta “forte” qual è l’euro, per giungere al conseguente aggancio delle retribuzioni all'indice annuo di inflazione.
Pubblichiamo la lettera di dimissioni del compagno Roberto Riggio da Coordinatore regionale della FPCGIL di Arpa Piemonte del 16 Maggio 2015. Dimissioni che trovano riscontro nel più totale disinteresse della segreteria regionale FPCGIL per le vicende legate alla ristrutturazione di Arpa. Con 99 voti (377 la Cgil, oltre il 25%) Riggio è di gran lunga il più votato della Cgil in Arpa alle ultime elezioni di Marzo 2015 (quasi il doppio del secondo eletto in Cgil, Silvio Bo con 54 preferenze), quello che più ha contributo alla vittoria della nostra organizzazione e alla conquista di 9 seggi sui 18 disponibili (e tenendo conto che 1 è andato all’USB, alla possibilità per i sindacati conflittuali o comunque non concertativi di essere maggioranza assoluta). La lettera è piena di amarezza, per una segreteria che sembra più interessata ai giochi di potere che a sostenere i lavoratori e i suoi rappresentanti migliori, tanto da essere indifferente non solo alle dimissioni di Riggio ma anche alle possibile dimissioni di ben 8 RSU CGIL su 9. Dimissioni che si sono poi puntualmente verificate con addirittura l’uscita dall’organizzazione dello stesso Riggio e di altre 7 RSU, uscita che ha comportato la perdita secca di un terzo dei 200 iscritti.
La vicenda Riggio, mostra il livello a cui è giunta la nostra dirigenza, capace di disperdere in due mesi un patrimonio di anni solo per la volontà di salvare il proprio interesse di casta.
Pubblichiamo questa vicenda perché è emblematica della maggioranza della Cgil attuale. Tuttavia, nonostante comprendiamo perfettamente le ragioni di Riggio e dei compagni che l’hanno seguito, ci auguriamo che chi leggerà queste righe, non segua il suo esempio, ma trovi il coraggio per restare in Cgil e continuare la battaglia con noi contro questo gruppo dirigente, perché questo è il motivo della nostra Opposizione, cambiare la Cgil, non uscirne.
Sempre più negozi allungano oltre misura l’orario di apertura, anche 24 ore su 24, compresi sabati e domeniche. Ogni centro commerciale che allunga l’orario, dal Carrefour di Vercelli che apre anche di notte, alle Gru di Torino che chiudono a mezzanotte anziché alle 10, ha immancabilmente lo stuolo di sostenitori a prescindere.
È normale che servi di partito, zerbini vari dei giornali, in breve il canile abbaiante al comando di lor Signori, pretenda pronta obbedienza e adattamento da parte dei lavoratori. Dal loro punto di vista di squali e profittatori, fanno solo il loro interesse. E non vorremmo nemmeno star qui a parlarne, tanto è ovvio. Qua vogliamo infatti parlare della risposta al problema un po’ meno ovvia e in fondo sbagliata che viene data da chi dovrebbe fare l’altro interesse, nella fattispecie il nostro.
Non ci riferiamo tanto alla risposta completamente destrorsa ma disorganizzata, quindi vagamente innocua, che viene dai tanti ormai assuefatti al sistema: e allora io che lavoro a Natale? – Ringrazia che hai un lavoro – tu almeno sei fisso, eccetera eccetera. Se andassimo sempre a ritroso, infatti, finiremmo col giustificare il ritorno alle 12 ore di lavoro perché tanto, i nostri nonni, già le facevano.
Ci riferiamo invece alla risposta pericolosissima che sta prendendo piede sui social network, veicolata a spron battuto dai piani alti della nostra illuminata intellighenzia di pseudo sinistra, abbacinata da tanta vuotaggine, e che consiste nell’additare al linciaggio il cosiddetto consumatore, reo di rovinare le domeniche dei lavoratori sfruttati, perdendole ai supermercati anziché allo stadio o a messa come fanno le normali famigliole rovinate dai più canonici vizi della società di mercato.
In realtà, non sono i consumatori a rovinare le domeniche dei lavoratori, ma i padroni. Però i padroni non avrebbero fatto scempio delle loro domeniche, se una burocrazia inqualificabile che ha in mano il sindacato non avesse firmato tutte le capitolazioni che poteva firmare, fiaccando e scoraggiando ogni loro volontà di lotta. Se la dirigenza Cgil oggi va dal sindaco a chiedere pietà per le domeniche alle Gru, denunciando una «scelta sbagliata, frutto di una posizione ideologica che mira a incentivare una logica da acquisto compulsivo» (Luca Sanna, Segretario Organizzativo FILCAMS CGIL), è perché non può andare a protestare direttamente da Davide Rossi, numero uno del centro commerciale, visto che ha firmato nell’ultimo contratto del commercio la liberalizzazione delle domeniche, con possibilità per 16 settimane di allungare l’orario a 44 ore e senza neanche pagare lo straordinario, dato che i padroni potranno poi accorciarlo con turni di riposo passate le feste, quando avranno gabbato, più che i clienti, lo santo lavoratore gratuito.
Il cosiddetto consumatore, può stare tutta la vita al supermercato, non sarà mai lui il responsabile delle domeniche al lavoro di cassiere e addetti ai banconi. Responsabile in tutto per tutto è chi non sciopera. E se anche la colpa è del gruppo dirigente della Cgil, purtroppo ricadrà su cassiere e addetti ai banconi se ne asseconderanno la logica vigliacca con cui la scaricano verso gli innocenti consumatori, senza mai nominare i padroni che non vogliono colpire. Tocca ai lavoratori inchiodare al muro della responsabilità che non sanno assumersi, i loro dirigenti, e pretendere che non si rendano ridicoli chiedendo ai consumatori di lottare al loro posto, perché loro la lotta non la vogliono fare.
Non è questo un invito a fiondarsi di domenica in un centro commerciale. Anzi, chi scrive di solito lo evita e spera che chi legge faccia altrettanto, anche solo per un minimo di solidarietà. Ma la nostra solidarietà va solo ai lavoratori che lottano, non ai dirigenti che pretendono che la solidarietà degli altri diventi l’unica lotta. Lo slogan Mai in un supermercato di domenica non sarà mai il nostro slogan, ma quello di una burocrazia sindacale che per tornaconto ribalta l’approccio al problema, demandando completamente all’esterno una soluzione che è tutta all’interno. Ecco perché le piace tanto: perché ai nostri dirigenti non par vero di poter portare tutti i lavoratori delle Gru “in gita” dal sindaco. Tutto sono disposti a fare i nostri dirigenti, financo il boicottaggio, purché venga fatto all’esterno e soprattutto da qualcun altro. Purché si eviti l’unica cosa che serve davvero: toccare nel portafogli i padroni con scioperi all’interno.
Per non scioperare, i dirigenti, troveranno la scusa della crisi. Hanno sempre una scusa pronta per non mobilitarsi. Lo sappiamo benissimo che c’è la crisi. Quello che non sanno i dirigenti o fanno finta di non sapere, è che loro l’hanno aggravata firmando accordi a perdere non richiesti. Per fortuna, non è la crisi economica a fermare gli scioperi, ma sempre e solo la crisi di coscienza di classe. Se i dirigenti che non ce l’hanno si dimettessero, non ci sarebbero più motivi per non scioperare.
Un’altra scusa che tireranno fuori dal cilindro inesauribile delle loro giustificazioni, è che durante le feste i centri commerciali si riempiono di precari. È vero, ma forse ce ne sarebbero di meno se non avessero dato la possibilità ai padroni, per un anno o anche due, di assumere persone inquadrandole di ben due livelli al di sotto della paga normale. La precarietà, aggravata dai nostri dirigenti, complica ancora di più la lotta, ma non la può eliminare. Ci sono posti di lavoro dove si lotta, nonostante i precari, e posti dove non si lotta neanche se si è “fissi”. La burocrazia può andare avanti all’infinito con giustificazioni di questo tipo, non cambierà il fatto che le condizioni per lottare efficacemente ci sono anche oggi, dovunque ci si trovi, basta solo trovare il coraggio di farlo. Quel coraggio che manca a una dirigenza irrecuperabile, lo devono mettere per forza i lavoratori.
L’idea di demandare ad altri i nostri problemi, oltreché moralmente scorretta, è anche, purtroppo, come tutte quelle campate per aria, sbagliata da qualunque lato la si guardi, perché completamente priva di senso e irreale.
Nessun supermercato sta aperto la domenica perché la gente ci va. Resta aperto perché nessuno si è opposto all’apertura. Infatti, al momento dell’apertura, nessun padrone poteva sapere se la gente ci sarebbe andata, ma ha aperto lo stesso, perché sapeva di aver sottoscritto coi sindacati arrendevoli un accordo che glielo consentiva. Ed è per questo che i lavoratori, disorientati dalle loro stesse organizzazioni, non hanno fiatato alla prima domenica d’apertura. Poi alla seconda si sono ritrovati pure la paga ordinaria anziché straordinaria ed hanno cominciato ad accorgersi della truffa orchestrata alle loro spalle. Dovranno risvegliarsi al più presto, altrimenti alla terza, sempre complici i nostri finti paladini, dovranno pure pagare per andare a lavorare.
È inoltre impossibile che un’intera cittadinanza prenda coscienza al 100% dei problemi dei lavoratori, perché la cittadinanza è interclassista, non è composta al 100% di lavoratori. Commercianti e piccola borghesia forense son destinati a sbattersene le suddette, specialmente se sono chiamati ad interessarsi da chi fa mille parole di propaganda ma nessuna azione. Ne segue che anche nella migliore delle ipotesi, solo una parte di cittadini potrebbe prendere per buono l’invito a non andare al supermercato. Ma non lo farà neanche questa parte, perché appartiene nel 90% dei casi a quell’avanguardia che leggerà queste righe e le condividerà. E nessuna vera avanguardia spreca la sua coscienza per andare in giro a propagandare la soluzione sbagliata di quella finta, girata a rovescio, degli altri.
Chi predica simili rivoluzioni aleatorie di coscienza, lo fa perché ignora completamente come si formi quella dei lavoratori. I cosiddetti cittadini, per prendere coscienza del problema, dovrebbero contattarsi uno per uno prima di andare in un centro commerciale. Ma nessuno ci va sentendo il suo vicino. Ognuno dei clienti dovrebbe quindi prendere coscienza da sé, chiuso nel suo cantuccio. Ed è per questo che un simile innalzamento di coscienza è, salvo miracoli, praticamente impossibile, perché la crescita della coscienza è in generale un processo sociale, non individuale. La burocrazia Cgil si appella all’individualismo dei clienti perché è lo specchio della sua volontà di tener isolati i lavoratori, ma l’individualismo è borghese, perciò la sua predica contro chi va nei supermercati la domenica, si riduce all’invocazione alla classe borghese e piccolo borghese perché prenda coscienza dei problemi della classe lavoratrice. Ergo, è destinata al fallimento in partenza. Perché solo i lavoratori possono e devono prendere coscienza dei loro problemi e risolverli. Nessun altro lo farà per loro, tanto meno la loro classe nemica. Infine, per un lavoratore di un centro commerciale che lavora, ci sono almeno cento potenziali clienti da servire. È quindi più facile che prendano coscienza cento persone che lavorano gomito a gomito, anziché 10˙000 persone sparpagliate che manco si conoscono. Solo la nostra intellighenzia sindacale, incapace di organizzare 100 persone già potenzialmente unite dal posto di lavoro, suonata come una campana com’è, pretende di organizzarne 10˙000 sparpagliate, cioè completamente disorganizzate qual sono per definizione.
Esempi di lavoratori che si organizzano, prendono coscienza e lottano, se ne possono trovare a centinaia, anche oggi coi tempi reazionari che corrono. Ma di supermercati deserti la domenica perché i clienti hanno preso coscienza del male fatto ai lavoratori, manco l’ombra. Solo la burocrazia sindacale può pensare una cosa del genere. Il massimo che ci si può realisticamente attendere, è un calo per altre mille svariate ragioni, dall’apertura di un centro commerciale vicino, alla mancanza di liquidità dei clienti, eccetera. Ma non sarà di fronte al calo di clienti che i padroni rinunceranno alle domeniche aperte. Al contrario, coscienti del fatto che i lavoratori hanno dei capi pronti a capitolare ad ogni richiesta, prenderanno la palla al balzo per una nuova offensiva. I lavoratori che speravano così di starsene a casa la domenica, lo faranno davvero ma perché in cassa integrazione, oppure perché licenziati, oppure ancora non lo faranno neanche in questo caso perché continueranno a lavorare ma con la paga ulteriormente decurtata. E saranno nuovamente sistemati per le feste.
A quel punto, se si rivolgeranno agli unici sindacalisti dalla loro parte, quelli combattivi come noi del SINDACATO È UN’ALTRA COSA, forse cominceranno ad organizzarsi e a scioperare. Quel giorno si apriranno per loro nuove prospettive e tutto sarà visto sotto una luce diversa. Un lavoratore che lotta, infatti, non vede affatto come un problema la corsa forsennata all’acquisto compulsivo. Solo per sindacalisti della maggioranza è un problema. Per noi dell’Opposizione Cgil è come la manna dal cielo. Magari tutti i lavoratori delle fabbriche potessero godere di questo particolare afflusso natalizio tipico dei centri commerciali. Il danno che si può fare a Natale a un Carrefour qualunque, scioperando, non ha paragoni con nessun’altra iniziativa di lotta. Tre ore potrebbero anche bastare per conquiste che in altri posti richiederebbero giorni. Non solo: in tre ore di lotta vera, i lavoratori potrebbero anche incappare nella solidarietà dei clienti che per caso si trovassero coinvolti. Non è raro, infatti, vedere molte persone, che apparentemente non c’entrano niente, trascinate nel turbine della lotta dall’entusiasmo dei lavoratori. È già successo molte volte e succederà ancora, non appena rimetteremo in pratica le tradizionali forme di sciopero. Al contrario, la pretesa del gruppo dirigente della Cgil, che i clienti siano solidali col loro piagnisteo, li spingerà addirittura a infierire disgustati sui lavoratori immobili. Perché nessun cliente potrà mai fare la prima mossa al posto dei diretti interessati.
Quando i padroni terrorizzati dalla perdita del profitto si precipiteranno al loro capezzale, i lavoratori capiranno che si può anche venire a lavorare la domenica, purché la paga sia tripla, non dimezzata. Conquista dopo conquista diventeranno più audaci. Non servirà più la tripla paga straordinaria per venire a lavorare, sarà sufficiente raddoppiare quella ordinaria per risparmiarsela. Ancora un altro passo e capiranno che si può venire al sabato e la domenica, e financo al lunedì, purché non ci siano capi e padroni tra le balle. Perché un centro commerciale può funzionare giorno e notte, ma non ha bisogno di capi e padroni per farlo. Più aumentano i padroni, infatti, più aumenta la disoccupazione e, viceversa, meno padroni ci sono in giro, più c’è lavoro per tutti.
Da qui alla rivoluzione, naturalmente, la strada è ancora molto lunga. L’importante però è cominciare. È l’unico vero augurio che ci sentiamo di fare ai lavoratori. Un augurio sincero e di cuore perché di lotta. Non c’è altro modo per augurargli davvero Buon Natale. Solo così lo sarà davvero, dovunque lo passeranno, al lavoro ma finalmente rispettati e pagati, oppure, meglio ancora, a casa a mangiarsi il panettone alla faccia dei padroni. In caso contrario, sarà veramente pessimo, proprio come tutti gli altri giorni.
Coi migliori auguri a tutti i compagni
e a chi lotta sul serio
Lorenzo Mortara
RSU FIOM YKK
IL SINDACATO È UN’ALTRA COSA
Stazione dei Celti
Sabato 5 Dicembre 2015
grazie mille al compagno Enrico Pellegrini per i preziosi consigli
Ieri pomeriggio si è concluso il rinnovo della rsu in Pirelli a Torino.
Tutta la campagna elettorale l'abbiamo fatta in modo organico come IL SINDACATO È UN'ALTRA COSA. Gli aventi diritto erano complessivamente nel collegio operaio 1084 di cui votanti 1008 nello stesso collegio. Su 19 RSU da eleggere 13 sono andati alla FLCTEM-CGIL e 6 alla UILTEC-UIL. La FLCTEM ha raccolto in questo collegio 607 voti. Abbiamo raccolto come delegati appartenenti alla nostra area 95 voti e 2 RSU eletti (Debetto, Cuna) sui 13 eletti da tutta la filctem cgil. Una delle 2 rsu (Cuna) nostre elette era candidata anche come rls ed è stato eletto con 105 voti , gli rls complessivamente sono 6 di cui 5 cgil 1 uil.
Riportiamo la registrazione dell'intervento di Lorenzo Mortara, RSU FIOM all'YKK di Vercelli, per il SINDACATO È UN'ALTRA COSA all'attivo dei delegati FIOM del Piemonte di Venerdì 17 Novembre 2015. Ordine del giorno: piattaforma FIOM per il rinnovo del Contratto Nazionale.
Non ci stupiscono più di tanto le uscite di Erri De Luca pro Israele, cioè pro Sionismo, o pro servizi segreti o pro Salvini. Non ci stupiscono perché noi non veniamo da Lotta Continua, e sappiamo bene come chi venga da quella sponda lì, salvo miracoli, resti un incompiuto tutta la vita.
Non vorremmo però dirgli addio come fanno alcuni compagni. Non avendolo mai considerato propriamente dei nostri, non ci pare proprio il caso di riservargli un simile saluto.
Piuttosto vorremmo far notare come anche nel caso di Erri De Luca, ci sia ben poco di personale nelle sue idee, ma molto del riflesso sociale delle lotte di classe.
In Val Susa, rispetto a Bologna, è in corso una vera e propria lotta di massa. A Bologna solo una contestazione di una massa sostanzialmente in quiete. Per questo De Luca sta coi No Tav in Val Susa e contro a Bologna. Perché non è lui a schierarsi con la Val Susa, è la Val Susa a tirarselo dietro insieme con tanti altri nella lotta NoTav. Non appena la massa sparisce dalla lotta quotidiana, per darsi appuntamento in un giorno di festa qualsiasi, dovendo orientarsi da solo, De Luca va in tilt e passa dall’altra parte della barricata, perché la sua bussola, per quanto raffinata e migliorata con gli anni, resta pur sempre quella di Lotta Continua. Non è il marxismo a guidarlo, ma il marxismo di Lotta Continua, cioè un marxismo alla cazzo di cane. Di (pseudo) marxismi simili ce n’è un’infinità. La loro caratteristica è di sopravvalutarsi continuamente e a tal punto, da convincersi di aver delle idee, per questo finiscono regolarmente per usarle in sostituzione del metodo materialista che non han mai compreso fino in fondo, perché più grande di loro.
Proprio per questo non ce la sentiamo più di tanto di accanirci per le sue sparate. È già tanto se uno così è riuscito a star almeno una volta dalla parte giusta. Ci basta per rinnovargli quella solidarietà che non gli faremo mai mancare. Non è solidarietà verso le sue idee, ma verso le nostre.
Cominciamo
dalle dichiarazioni delle parti in campo.
Sul
Sole 24 Ore del 16 ottobre troviamo le posizioni del Presidente di
Federchimica.
Il
primo afferma quanto segue: “Il nuovo contratto di lavoro del
settore chimico-farmaceutico non contiene disposizioni che derogano
alla disciplina del Jobs Act.” L’ipotesi di accordo 2016-2018 “è
una valorizzazione degli indirizzi programmatici in materia di
relazioni industriali fissati da Confindustria; e non a caso le
parole chiave dell’intesa sono: produttività, occupabilità,
flessibilità ed esigibilità”.
Alla
domanda sugli aumenti contrattuali, che avrebbero resi contenti i
sindacati (e, quindi, si presume scontente le imprese), così
risponde: “Il contratto sottoscritto ieri mattina riduce del 50% il
gap che con il precedente rinnovo, per la prima volta in 30 anni in
una dimensione rilevante si è creato tra gli aumenti decisi in base
all’inflazione programmata e il reale corso dei prezzi al
consumo…Federchimica è la prima categoria che con il nuovo
contratto pone rimedio a questo rischio prevedendo verifiche annuali
ed ex post per il maggior allineamento possibile tra aumenti
salariali e andamento dell’inflazione: così non sono previsti
aumenti nel 2016, ma solo a partire da gennaio 2017”.
Si
tratta di dichiarazioni di propaganda o realmente fondate ?
Andiamo
a vedere cosa c’è scritto nel testo di Accordo.
"Non per tagli ma per equità” titola il dossier sulle pensioni del presidente dell'Inps Tito Boeri. La verità è l'esatto opposto, la foglia di fico dell'equità, assieme a quella della riduzione dei privilegi della casta politica e sindacale, serve proprio a coprire un taglio strategico alle prestazioni e allo stesso sistema pensionistico pubblico.
Il documento del presidente è molto dettagliato nelle cifre e questo serve a rafforzare la sua immagine bocconiana. Tuttavia le cifre possono cambiare e soprattutto possono a volte portare fuori strada, se non si esaminano i concetti a cui sono connesse. Chi non sarebbe d'accordo a garantire 500 euro mensili a chi ha più di 55 anni ed è senza reddito? Il problema è a quali condizioni e soprattutto chi paga e qui subito emerge l'ideologia liberista della proposta INPS.
Punto per punto, alcune riflessioni su quel che non va della Piattaforma FIOM 2016, tralasciando per lo più quel che altri hanno già detto.
di Lorenzo Mortara
Nuovismo – La prima cosa che colpisce della PIATTAFORMA FIOM per il RINNOVO del CONTRATTO DEI METALMECCANICI 2016, è la voglia di novità e di sperimentazione contrattuale. Tutto il preambolo è un unico peana in onore del rinnovamento. Peccato che anche Federmeccanica, non parli d’altro che di rinnovare l’assetto contrattuale. Questo vizio di ammiccare alla controparte con le stesse parole, ben sapendo che le lingue sono diverse, ha già prodotto disastri nel recente passato. Chi non ricorda che Landini fu il primo ad aprire a Renzi? Il metodo era lo stesso: il Berluschino del PD voleva cambiare l’Italia, e anch’io, disse il nostro Leader, lo voglio, perché nessuno più dei lavoratori vuole cambiare questo Paese. Sperava così di diventarne un interlocutore privilegiato. Divenne solo un giocattolo nelle sue mani. Possibile che dobbiamo fare un’altra volta la figura dei fessi? Così come Renzi vuole cambiare in peggio il Paese, e Landini in meglio, almeno per i lavoratori, alla stessa maniera l’innovazione contrattuale di Federmeccanica è lo smantellamento del Contratto Nazionale, l’innovazione della Fiom è invece il suo rafforzamento. Sono due cose opposte e inconciliabili, perché quando due discorsi vaghi e generici sul rinnovamento contrattuale si incontrano, tra i due prevale sempre quello più forte. Esattamente come l’apertura a Renzi sul cambiamento del Paese, non ha sortito altro che l’uso strumentale di Landini come copertura delle sue politiche antioperaie. La colpa non è di Renzi, ma di Landini che l’ha continuamente promosso, portandolo in palma di mano per un paio di mesi, anziché smascherarlo subito senza pietà. La Piattaforma ripete lo stesso errore col profondo rinnovamento contrattuale…
Carissime compagne e compagni dipendenti di Poste Italiane:
non si può più tacere di fronte alle dichiarazioni sulla privatizzazione di Poste rilasciate dalla segreteria nazionale SLC-CGIL nel raffazzonato documento inviato il 21 ottobre alla Presidente Todino e all’A.D. Caio. (comunicato su IPO)
Dopo mesi di assordante silenzio è davvero imbarazzante constatare come il nostro gruppo dirigente sindacale si stia arrampicando sugli specchi per cercare di restare in qualche modo agganciato alle nuove dinamiche aziendali vaticinando, con demagogiche e strampalate posizioni, i taumaturgici effetti di una immaginaria privatizzazione dal volto umano (sic!) … singolare visione che alberga unicamente nelle loro menti a dispetto delle drammatiche testimonianze di un epoca devastata da un capitalismo selvaggio che ci restituisce quotidianamente macerie economiche, ingiustizie e discriminazioni a tutte le latitudini.
"Per chi legge in buona fede il mandato negoziale del TTIP, è del tutto evidente che i servizi pubblici non sono oggetto di negoziazione”. Così ripete ad ogni occasione il viceministro dello sviluppo economico Carlo Calenda. “A pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca” verrebbe da rispondere citando il famoso “belzebù” della prima repubblica. D’altronde, basta leggere quanto previsto dal CETA (Accordo commerciale Ue-Canada, la cui ratifica partirà nel 2016) e dal TTIP (Accordo Usa-Ue, in fase di negoziazione) per capire chi ha ragione.
Pucciarel’editoriale di Polito nel caffellatte, è una delle prelibatezze più raffinate concesse dalla domenica mattina, quando il Corriere ci delizia con la sua pubblicazione. Il tema di ieri, al bar della Confindustria, sono le tasse. Lo svolgimento prevede una panoramica sui pregiudizi in materia della Sinistra, smontati uno a uno con precisione chirurgica dalla sua narrazione scientifica, realistica, quasi vendoliana e assolutamente oggettiva e veritiera. Proprio per questo, non chiedete qualche dato che comprovi le affermazioni a questo Dio delle chiacchiere. Non essendo ideologico, privo di interessi personali e classisti, disinteressato, super partes e liberale antidogmatico come è, bisogna credergli sulla parola perché lui è assiomatico.
Tassare i ricchi è vecchio come la sinistra. Il che spiega la sua storica vocazione minoritaria. Per Sinistra, Polito intende la sinistra odiosa, stalinoide, storicamente compromessa, tuttalpiù socialdemocratica, vagamente keynesiana, trasformista, opportunista, cerchiobottista, carrierista, burocratica, riformista, tsipriota, giammai rivoluzionaria e al dunque sempre capitolarda, schifosamente antimarxista, capitalista, sommamente asina e consociativista. Intende proprio questa chiavica di sinistra che, le poche volte che si è ritrovata al potere, ha sempre abbandonato un qualunque programma del proletariato, anche il meno ricco purché onesto, per la squallida miseria di un programma borghese, stufando le masse salariate fino al punto di trovarsi in men che non si dica all’opposizione (dopoguerra PCI), indi nella pattumiera della Storia negli anni ’90 (PSI) o subito dopo negli anni 2000 (PRC).
Polito è giustamente preoccupato per questa Sinistra che gli assomiglia. È prodigo di consigli, anche se è incosciente di poterglieli dare solo sbagliati. Vorrebbe vederla vincere ogni tanto, perché teme che il suo eterno fallimento possa far emergere la Sinistra irreconciliabile, quella che non darà una mano né a lui né ai suoi padroni e gli porterà via anche le mutande. Quella a cui fan sorridere le spiegazioni sociologiche, psicologiche e quant’altro purché non materialiste per le vocazioni minoritarie dei presunti avversari. Quella sinistra che sa che in una società in cui il Capitale ha in mano tutto e il Lavoro niente, è molto raro e difficile essere maggioritari, e che proprio per questo si rifiuta di prendere troppo sul serio le elezioni borghesi. Quella sinistra sta spesso in penombra, minoritaria per forza, ma emerge ogni tanto nei periodi cruciali della Storia, perché se ne frega di avere il 51% dei consensi elettorali, in elezioni truccate da un sistema che ha tutte le carte per vincere sempre, e pure la pretesa che tutti i perdenti stiano al suo gioco zitti e in silenzio. Quella sinistra, minoritaria di norma, maggioritaria in via eccezionale, non ha mai vocazioni servili come vorrebbe Polito per poi rinfacciarle la sconfitta a servizio concluso. Quella sinistra, quando avrà gli operai dietro, e possiamo star sicuri che prima o poi li avrà, fossero pure tre gatti, spazzerà bolscevichi e menscevichi del Capitale, avessero pure tutti i consensi del mondo, fregandosene delle vocazioni minoritarie tanto care a Polito, che altro non sono che le sue personali invocazioni per una sinistra finalmente e definitivamente liberale.
Tolta in teoria quella ereditata, purché lasciata in pratica, la ricchezza nasce dallo studio, dall’abnegazione, dal talento e dall’impegno. È il merito che ti fa ricco e il demerito che ti fa povero, anche se chi studia per diventare ricco ha il solo merito di essere una bestia e si merita solo di non leggere altro che il Corriere.
Con le tavole kantiane prestate al liberalismo in forma restaurata, Polito elimina in un colpo solo sfruttamento, colonialismo, schiavitù, guerre mondiali e imperialismo, dettagli insignificanti derubricati a danni collaterali come l’evasione fiscale e la corruzione. Perché mai una forza di sinistra dovrebbe essere contro il capitalismo, da lui chiamato prudentemente e vigliaccamente «successo economico»? Perché mai, prima di tutto, una forza favorevole al capitalismo deve essere definita di sinistra, suggeriamo noi altrettanto prudentemente ma con un coraggio che lui manco si sogna? Intellettualmente rattrappito, pavido come è, per la risposta fa venire in soccorso Olof Palme citandone il credo di combattente non della ricchezza, ma della povertà. Sovrastrutturale com’è, questa frase vuota, di per sé piace molto al giornalista, perché non tocca i forzieri insanguinati dei farabutti capitalisti suoi amici. Il seguito del combattimento contro la povertà, che Palme intendeva vincere tosando regolarmente il capitalismo come una pecora ma senza ammazzarlo, non viene citato proprio perché comincia a dare contenuto e spessore a una frase vuota. Palme voleva tosare il capitalismo senza ammazzarlo perché era comunque un pastore del sistema capitalista. Noi marxisti non facciamo parte della industria ovina e dei suoi sottoprodotti socialdemocratici. Ma in attesa di portare al mattatoio della rivoluzione socialista padroni, pastori e tutto il gregge belante della carta stampata che gli va dietro, se proprio dobbiamo citare qualcuno, cerchiamo di farlo in maniera completa, non arbitraria e tendenziosa. Se un Olof Palme qualunque tornasse per tosare Marchionne e compagnia anche solo di un capello, Polito strillerebbe come un ossesso. Finché non appare all’orizzonte, lo cita da vero intenditore, dovesse apparire comincerebbe a denigrarlo e a insultarlo.
Confutato il pregiudizio contro la ricchezza con giudizi a posteriori tanto profondamente pensati da lasciare esterrefatti, la sociologia liberale s’arrampica come una dilettante su quella marxista, illuminandola sulla complessità della vita. Un operaio, specialmente in Italia, è uno e trino senza arrivare mai a sintetizzarsi nel Dio Quattrino che lo sfrutta. Può essere – tu pensa! – lavoratore (se non è precario o disoccupato), risparmiatore e consumatore. È grazie a questa trinità che gli può riuscire il miracolo di avere un appartamento, magari in regalo dalla famigliola con l’aureola di ceto medio sulla testa. Subdolamente, Polito, lascia intendere che sia la sinistra indiavolata e cattiva, quella a vocazione minoritaria, che vuole spolpare ceto medio e lavoratore anche di quel poco che, sgobbando una vita, si sono faticosamente guadagnati. Non spiega, all’opposto, che è esattamente la sinistra maggioritaria, renziana, a farlo, perché tagliando le tasse a tutti, aumentano solo le spese dei poveri, ovvero i profitti privati dei padroni. Ed è per questo che, man man che il popolo scornato scopre sulla sua pelle la truffa, la maggioranza renziana s’assottiglia e s’appresta pian piano a diventare minoritaria e a non servire più a niente, tanto che la borghesia dovrà inventarsene un’altra che si spacci per sinistra. Ma alla domenica, a Polito, piace uscire vestito da paladino dei lavoratori e del ceto medio. Perché se tagliare le tasse non è di destra né di sinistra, ma giusto, allora anche lui non è né di destra né di sinistra, ma comunista. Per lo meno la domenica, che lui scambia regolarmente per quella di carnevale...
Poiché è giusto tagliare le tasse a ricchi e poveri, aumentando solo le spese a tutti i cani incatenati giorno e notte in fabbrica, ma non ai porci capitalisti liberi di spassarsela fuori, non mancheranno i soldi per sanità, scuola, trasporti e ammortizzatori, perché basterà evitare gli sprechi per rientrare delle tasse tagliate, laddove per sprechi si intende più o meno il 50% dei dipendenti pubblici ancora da tagliare, per sfruttare ancora di più l’altro 50% lasciando che i dirigenti ladri e farabutti continuino a intascare buone uscite plurimilionarie, quanto più è grande la porcata che hanno fatto, nel pubblico o nel privato o dovunque li abbiano messi a far danni.
Buttati in mezzo alla strada dipendenti pubblici e privati, Polito, dalle categorie kantiane e dalla sociologia marxista, passerà al dubbio cartesiano, assiduo e metodico. Interrogherà Bankitalia per sapere se pagare meno i salari aumenta l’occupazione. Bankitalia dubiterà a lungo con lui sul Ponte dei sospiri, che nel linguaggio degli affari sono i sospiri per il Ponte di Messina, ma nel dubbio tutti e due sapranno che sicuramente aumenta i profitti, e sempre nel dubbio ignoreranno che l’aumento dell’occupazione è l’aumento del monte salari, e che dell’occupazione che aumenta gratuitamente ne facciamo volentieri a meno o la lasciamo ancora più volentieri a loro. Perché noi non facciamo parte «dell’azienda Italia», come letteralmente scrive Polito nell’unico punto del suo editoriale in cui si lascia scappare senza ipocrisie e infingimenti di cosa veramente stia parlando e soprattutto per chi. Noi non ne facciamo parte né mai lo faremo perché come l’Italia non siamo un’azienda, né vogliamo trasformarla completamente in un mercato, perché valiamo troppo per essere venduti, più di tutte le sue aziende di merda messe assieme.
Grazie alla decrescita dell’occupazione, dei salari e dei diritti, però virtuosa, si innescherà la crescita viziosa della ricchezza della nazione borghese che, dopo tanta fatica per finire nelle solite tasche, si poserà non si sa come anche in quelle dei poveracci. Non è ideologia questa. È la scienza dei Polito, la scienza dello sgozzamento delle galline oggi, per le uova d’oro di domani, ieri e dopodomani dei padroni di sempre. Perché è un’utopia finora mai realizzata credere che si possa realizzare la giustizia sociale a colpi di tasse, togliendo ai ricchi per dare ai poveri. È molto più realistico il contrario, togliere ai poveri per dare ai ricchi, perché non basta lasciare che ognuno faccia il cazzo che vuole, rubando tutto quello che può rubare. Se la mano invisibile del mercato è ormai insufficiente per rapinare i poveri, ci vuole quella visibilissima dello Stato, lo stato dei ladri e dei parassiti privati, che li aiuti per completare l’opera che non sanno più fare da soli. E mentre Stato e mercato si danno la mano, sul Corriere, Polito, continuerà a scrivere coi piedi i suoi editoriali della domenica.
Pubblichiamo il video e la rielaborazione scritta dell'intervento di Lorenzo Mortara, omaggio a ROSA LUXEMBURG, per IL SINDACATO È UN'ALTRA COSA - OPPOSIZIONE CGIL, alla Conferenza di Organizzazione della CGIL di Vercelli. La Conferenza si è tenuta a Caresana Blot (VC), Venerdì 19 Giugno 2015.
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Buongiorno
a tutti,
innanzitutto
ringrazio chi ha deciso di farmi intervenire. Pensavo di non farlo o
di iscrivermi più tardi. La dirigenza stavolta ha deciso di fregarmi
sommergendomi con un eccesso di democrazia! Bene, me ne rallegro,
resta il fatto, però, che non mi son preparato nulla, quindi sarò
breve e mi soffermerò soltanto su un paio di punti. Anche perché in
fondo sapete bene come la penso e non è necessario che vi ripeta
sempre le stesse cose.
Il
documento della Conferenza di Organizzazione, al di là delle beghe
interne tra maggioritari ed emendatari, della «notte dei
lunghi coltelli» che si profila all’orizzonte per i tagli che si
andranno a fare, non è altro che un ulteriore passo verso la
cislizzazione della CGIL, verso un sindacato che non solo ha
smesso di contrattare, ma dopo aver smesso anche di concertare, ha
accettato, nonostante i continui brontolii, il suo nuovo ruolo:
quello di semplice ratificatore del volere padronale, come
mostrano chiaramente gli ultimi rinnovi contrattuali del commercio e
dei bancari, che per 85 euro lordi di “aumento”, se così si può
chiamare, spalmati su più di 4 anni, incassano senza fiatare il Jobs
act, il demansionamento e tutti gli altri colpi bassi che
l’ingordigia senza fine dei padroni è riuscita a sferrare sotto il
Governo del loro nuovo paggetto: Renzi.
Per
la CGIL e la sua segretaria nazionale, sembra che non ci sia altra
strada al di là di quella dell’adozione più rapida possibile del
modello Cisl. È a questo che, in fondo, Susanna Camusso ha lavorato
durante tutto il suo ormai doppio mandato. Eppure, siamo sicuri che
quello sia il modello giusto o che un altro sia proprio tramontato?
Lo
dico perché in questi giorni, c’è un dato sindacale che non
possiamo non sottolineare, ed è la brillante vittoria, a tratti
schiacciante, della FIOM nelle elezioni degli RLS in Fca, in Fiat
Chrysler Automotive. Vittoria che è ancora più significativa se
pensiamo alle condizioni nelle quali è stata ottenuta. La FIOM in
Fca è il primo sindacato per gli RLS nonostante non si giocasse ad
armi pari. A differenza di Fismic, Fim, Uilm e Ugl, la FIOM non aveva
agibilità sindacali da spendere nella tornata elettorale. Non aveva
le spalle coperte dalla propaganda aziendale e mediatica, anzi aveva
tutti contro. Eppure ha vinto, in maniera netta, convincente. E noi,
per altro, non avevamo grandi dubbi sul risultato finale, perché,
pur con tutti i limiti che in questi anni Landini ha mostrato, limiti
che non stiamo qui a ripetere per l’ennesima volta, sapevamo che i
lavoratori avrebbero riconosciuto nella sua e nella nostra FIOM
l’unico referente serio per la tutela dei loro diritti. Perché non
ci va molto a capire che di un sindacato complice, di semplice
ratifica del peggioramento delle loro condizioni, nel giro di poco i
lavoratori non sanno più che farsene.
Se
la FIOM ha vinto, la sua vittoria è anche e soprattutto la sconfitta
di quel modello sindacale a cui la CGIL guarda da un po’ troppo
tempo.
Questa
vittoria dovrebbe far riflettere tutti quelli che in questi anni
hanno disprezzato la FIOM e la sua linea, sommergendola di critiche
superficiali. Quante volte anche qua abbiamo sentito dire, la FIOM
ha perso, la FIOM è fuori, la FIOM è stata asfaltata da Marchionne,
eccetera. Non c’è solo
Renzi che ci ha dato per morti, anche tanti, troppi dirigenti del
nostro sindacato l’hanno fatto. Come se loro avessero qualche
vittoria da mostrare, solo perché avevano un contratto bidone
firmato in tasca, e solo perché, grazie a questo, erano e sono
riconosciuti dalla controparte con permessi, per altro sempre più
decrescenti lo stesso, per sé e per l’apparato.
A
dispetto delle apparenze, però, non ci sono oggi, tra i sindacati,
vincitori e vinti, ma solo gradazioni diverse della stessa sconfitta.
La vittoria elettorale della FIOM per gli RLS, non cambia il fatto
che in generale Marchionne stia vincendo, e la FIOM in Fca stia
perdendo. Ma la partita non è finita, e in questa battaglia la
vittoria per gli RLS segna per la FIOM un altro punto a suo favore.
Gli altri sindacati, compreso il resto della CGIL, di punti a favore,
in questi anni, non ne hanno segnati manco uno, perché contratti e
riconoscimento ai tavoli non sono punti a favore se slegati
dall’interesse dei lavoratori e dal miglioramento delle loro
condizioni. I tavoli permanenti, sono riconosciuti dalla controparte,
proprio perché danno ai padroni la garanzia che i problemi
resteranno permanentementeirrisolti.
La
volgarità dell’accusa alla FIOM di essere sconfitta, è
doppiamente indecente e inaccettabile quando viene dall’interno
della CGIL e del suo gruppo dirigente. Perché viene da un ceto
burocratico che ha perso così tanto la bussola da dimenticare che,
tutta la Storia del Movimento Operaio,
è la Storia di innumerevoli sconfitte, costellate qua e là da
qualche sporadica vittoria. Un movimento operaio che vince sempre o
al massimo pareggia, come regolarmente ci viene detto dal dirigente
di turno che deve difendere ciò che ha firmato, è un movimento
operaio che bluffa.
Ai
tempi della concertazione, ad ogni firma si era vinto, e se non si
era vinto comunque si erano fatti significativi passi avanti. Oggi,
ai tempi della ratifica, questa balla è troppo grossa e non regge,
ce ne vuole una minore, quella del pareggio. L’abbiamo sentito
proprio qua all’ultimo direttivo a proposito del contratto dei
bancari. E siamo sicuri che una giustificazione analoga circoli in
tutti i direttivi d’Italia. Èun contratto difensivo
quello dei bancari, recita
la nuova scusa.Dei banchieri e dei padroni
sicuramente. Ma dei lavoratori no, rispondiamo noi!
Contratto
difensivo è pura tautologia. Un contratto o è difensivo o non
è. Perché dire di un contratto che è difensivo, significa
ammettere anche che ne esistano di non difensivi. E quando mai li
abbiamo firmati, se ai tempi della concertazione si vinceva e oggi,
ai tempi della ratifica, si pareggia? Se stiamo a tutte le
incredibili giustificazioni trovate dai nostri dirigenti per ogni
firma a rovescio che hanno messo sulla nostra pelle, noi in questi
ultimi 25 anni non avremmo perso un solo diritto. Anche se
ripercorrendo tutta la strada che va dagli accordi del 1993 ad oggi,
ne trovate sul ciglio uno morto ad ogni chilometro. La domanda che si
porrà un lavoratore sentendo queste cose è: dove e quando li
abbiamo persi se, nella peggiore delle ipotesi, i nostri dirigenti ci
hanno difesi?
Se
il contratto fosse davvero difensivo, allora vorrebbe dire che oggi
ratificando, ieri concertando, si possono tutelare i lavoratori. Non
staremmo nemmeno qui a discutere e non ci sarebbe questa Conferenza
d’allarme che è la Conferenza di Organizzazione. In realtà,
la Storia fallimentare che va dalla concertazione del 1993 alla
ratifica del 2015, dimostra che solo confliggendo coi padroni si
possono difendere i lavoratori. Perché solo accettando il conflitto,
che esiste come esiste l’acqua e non può essere evitato, si può
riuscire a vincere. Soltanto il “vecchio” sindacato di classe può
difendere i lavoratori. Il sindacato nuovo, che nuovo non è ma è
ancora più vecchio e retrogrado, non può farlo e può solo perdere,
perché è il sindacato, in fondo, dell’altra classe.
La
sconfitta su tutta la linea che va dal 1993 a oggi è evidente. Se
nel 1993 bastava essere miopi per non vederla, oggi bisogna essere
proprio ciechi, perché anche i miopi ce la fanno. Non ci sarebbe da
vergognarsi se non fosse arrivata con la complicità pressoché
totale dell’apparato. Perché, lo ripetiamo, la nostra storia non è
altro che la storia delle nostre sconfitte. Già Marx ed Engels nel
Manifesto lo ricordavano:
ogni
tanto vincono gli operai; ma solo transitoriamente. Il vero e proprio
risultato delle loro lotte non è il successo immediato ma il fatto
che l’unione degli operai si estende sempre più.
Anche
nelle sconfitte, gli operai rafforzano la loro coscienza di classe.
Se hanno lottato. Il dramma senza fine della catena di sconfitte a
cui la dirigenza ci ha portato, è che sono sconfitte che servono a
poco o a niente. Perché volute e ottenute senza dare battaglia.
Disastrose proprio perché, a differenza di quelle ottenute sul
campo, le sconfitte per codardia, prive di scioperi e mobilitazioni,
generano disgregazione ed incoscienza.
E
a proposito di sconfitte, in
questi giorni, in Italia, si celebrano i cent’anni di una delle più
grandi
sconfitte del Movimento Operaio: la Prima Guerra Mondiale. L’Italia
vi entrò nel 1915, gli
operai del mondo, invece, vi
erano entrati
un anno prima a causa della socialdemocrazia tedesca, l’attuale
SPD, che capitolò al reichstag
tedesco il
4 Agosto 1914 più o meno come capitolano tutti i nostri dirigenti
davanti ai padroni. Votando i crediti di guerra come un Bertinotti
qualunque che dà il via libera alle missioni di pace in Afghanistan,
la socialdemocrazia tedesca dette
il via libera ai padroni perché mandassero gli operai a massacrarsi
sui campi di battaglia per i loro mercati. È grazie ai pochi che si
opposero che il Movimento Operaio seppe trarre qualche lezione da
quella catastrofe e di lì a
pochi anni rialzarsi. Tra questi, vi era Rosa (Rosalia) Luxemburg, la
più grande dei nostri dirigenti di allora e di oggi.
Rosa
faceva un parallelo tra la socialdemocrazia tedesca e il Movimento
Operaio. Il Movimento Operaio, diceva, arriva all’appuntamento con
la sua vittoria finale, l’eliminazione dello sfruttamento e del
sistema capitalistico, di sconfitta in sconfitta. La socialdemocrazia
tedesca invece, era arrivata al suo tracollo del 4 Agosto, di
vittoria in vittoria. Sembrava inarrestabile la sua ascesa. Diritto
di voto, i primi parlamentari, le prime conquiste sociali di welfare.
Questi erano i suoi risultati, le sue credenziali. Ma il 4 Agosto, di
fronte alla prova più seria, trovò la sua Waterloo e si liquefò
come neve al sole. Da allora si aggira come un fetido cadavere per
l’Europa continuamente rianimata da tutti i burocrati, di questo o
quel colore, purché non sia rosso, che per tornaconto personale non
le hanno dato il colpo di grazia.
Alla
fine di quei giorni drammatici, subito dopo, anche Rosa perse la
vita, uccisa e massacrata dai suoi stessi compagni che non avevano
difeso come lei la causa dei lavoratori, ma erano passati armi e
bagagli a difendere quella dei Krupp. Perché anche Rosa Luxemburg è
in fondo una sconfitta, nonostante la sua immensa, straordinaria
grandezza e il suo fulgido esempio. Una donna sconfitta, una
compagna, una militante che ci ha rimesso le piume. Una di noi.
Quello che va in scena da noi da 20 anni è l’opposto. Dirigenti
sconfitti che non ci rimettono niente, anzi, si appuntano le penne
sul capo. Saranno anche compagni, ma non sono dei nostri. C’è
quello che ti leva la scala mobile, e va a pavoneggiarsi al
Parlamento Europeo; c’è quello che introduce il precariato, e per
ricompensa diventa Gran Visir della Camera dei deputati
borghesi, e poi c’è il peggio del peggio, oggi, cioè tutto l’ex
Gotha della CGIL, Epifani in testa, riunito e promosso tra gli
inutili burattini del PD renziano che vota compatto l’approvazione
del Jobs Act.
Questo
è il dramma, e questa è la vergogna. La Conferenza di
organizzazione in fondo è tutta qui. È la conferenza tra due modi
di intendere la sconfitta. Da una parte la CGIL maggioritaria della
Camusso, una CGIL che vuole campare sulle nostre rovine promuovendosi
ad ogni sconfitta, e dall’altra una CGIL minoritaria rappresentata
dalla FIOM, e soprattutto dalla sua ala radicale, Il Sindacato è
un’altra cosa, che alla sconfitta vuole almeno reagire. Il compito
nostro è quello di fare in modo che i tagli che andranno a colpire
il corpo della CGIL, incidano il meno possibile su questa parte,
quella più sana. Se proprio devono esserci che siano fatti
sull’altra di parte, quella tanto malata da essere forse
irrecuperabile.
Io
ovviamente non vi auguro di perdere, tanto meno di fare la fine
tragica di Rosa Luxemburg. Vi auguro ovviamente di vincere, ma se
proprio non possiamo vincere, vi auguro di perdere almeno con
dignità. Perché è questo lo scontro che andrà in scena con la
Conferenza di Organizzazione. Lo scontro tra una CGIL che perde senza
onore e senza dignità e una FIOM a cui, pur nella sconfitta, va
riconosciuto almeno l’onore delle armi. Ed è grazie a questo onore
che tornerà alta la nostra bandiera. La bandiera rossa della CGIL e
del Movimento Operaio.
***************************
NOTA
FINALE – Alla fine del dibattito, oltre al Documento Nazionale
sulla Conferenza di Organizzazione, è stato messo ai voti anche un
Documento Territoriale, riportato più sotto, redatto da
emendatari e scontenti vari. Dopo un consulto via telefono con altri
compagni d’Area, l’idea era quella di votare contro a tutti e
due. Sentendo però il Documento Territoriale, crediamo che, a parte
i sostenitori, nessuno ne abbia compreso il senso. Tanto meno noi.
Non capire non è un problema quando non c’è altro da fare.
Perciò, ad andare fino in fondo votando contro, ci sembrava di voler
infierire. Tanto più che una sua stessa sostenitrice, è intervenuta
per dire che tanto sarà cestinato prima ancora che arrivi a Roma.
Noi materialisti incalliti, non siamo così ingenui e sappiamo che,
nonostante sia passato ci pare con solo 5 astensioni o poco più, per
risparmiargli un viaggio a metà, sarà cestinato direttamente a
Vercelli, e ben gli sta, visto che non merita di arrivare nemmeno a
Palestro chi propone di contrastare il nulla centrale, facendogli il
verso col nulla territoriale, che raddoppia solo il brusio, senza per
altro emettere un suono. Così ci siamo astenuti. Il Documento
Territoriale, è un documento da limbo dantesco, non da Opposizione
CGIL. Come tale non merita un voto, né a favore né tanto meno
contro. Lo si ascolta in silenzio per l’ultima volta, proprio la
prima in cui viene pronunciato, poi si passa avanti in attesa del
prossimo requiem.
Il
Documento Nazionale, invece, è passato con 51 voti a favore, 35
contrari e 16 astenuti. Tenuto conto di come vanno queste conferenze,
con le truppe che definirle Cammussate è essere generosi,
non aver raggiunto il 50% + 1 degli aventi diritto, è un bel
fallimento politico per i maggioritari. Ne segue che miglior successo
sindacale, noi non potevamo sperare. Per ora!
ULTIMA
NOTAZIONE: avevamo presentato un ordine del giorno sulle
pensioni. Alle 14 circa ci è stato chiesto di ritirarlo con cortesia
e regolamento alla mano, perché alla Conferenza sono possibili solo
emendamenti e, perciò, di presentarlo ai prossimi direttivi. È
strano perché al mattino hanno dato la comunicazione di presentare
gli ordini del giorno entro le 13. Non abbiamo dichiarato guerra per
un ordine del giorno che non avrebbe cambiato una virgola e abbiamo
accettato la decisione burocratica con grande signorilità. Chi vuole
lo può leggere qui sotto e utilizzarlo alla bisogna per le
Conferenze d’altri territori che, magari, avranno miglior
fortuna...
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CONFERENZA
DI ORGANIZZAZIONE CGIL VERCELLI
Vercelli,
Venerdì 19 Giugno 2014
Ordine
del giorno: pensioni
primo
firmatario Lorenzo Mortara
CGIL
CISL e UIL, hanno accettato di soppiatto di istituire un tavolo
permanente di confronto sulle pensioni con il Governo, non solo
quindi sul tema del recupero della mancata perequazione dopo la
sentenza della Corte Costituzionale che ha sancito il diritto al
recupero integrale di quanto sottratto dal governo Monti a milioni di
pensionati, ma più in generale sul sistema previdenziale pubblico.
La
CGIL decide di sedersi a questo tavolo senza avere mai discusso né
definito collettivamente, dentro e fuori i gruppi dirigenti e con i
lavoratori e lavoratrici, quale piattaforma sostenere nel rapporto
con un Governo che si appresta a tagliare nuovamente le pensioni.
L’obbiettivo
del Governo è evidente. Il crescente ricorso alla decontribuzione di
fette sempre più ampie del salario e la riduzione della base
occupazionale sono parte di un disegno che vuole cancellare ciò che
resta di quella che fu la previdenza pubblica. Il decreto legge che
il governo ha emanato dopo la sentenza della Corte Costituzionale è
un imbroglio vero e proprio che costituisce l’aggiramento di un
diritto.
La
CGIL di Vercelli, chiede la convocazione urgente di un direttivo
nazionale per definire una bozza di piattaforma rivendicativa sulle
pensioni da sottoporre all’insieme del mondo del lavoro. Senza
questo passaggio ritiene che non si possa avviare un confronto ed
esprimere posizioni su una materia che riguarda la vita di decine di
milioni di lavoratrici e di lavoratori.
Occorre
rivendicare il recupero integrale dell’adeguamento delle pensioni
bloccate dal governo Monti nel 2012.
La
CGIL non deve cercare un accordo forfettario col Governo. Questo,
infatti, è il senso del tavolo permanente. La CGIL deve impegnarsi
in generale per denunciare la volontà del Governo di manomettere
ulteriormente il sistema previdenziale.
Giù
le mani dalle pensioni!
************************************************
Documento
della conferenza di organizzazione Vercelli Valsesia.
Bozza
del 17 giugno ’15.
La
Conferenza di Organizzazione della Camera del Lavoro Vercelli
Valsesia assume la relazioni del Segretario organizzativo e gli
interventi che hanno alimentato il dibattito di questa nostra
Conferenza.
In
particolare occorre considerare che affrontiamo la nostra conferenza
di Organizzazione in un momento particolarmente difficile per il
futuro della CGIL e del Sindacato italiano.
Da
un lato il Governo Renzi che mira a riscrivere tutte le regole del
confronto democratico del nostro Paese, cercando di relegare le forze
sociali ad un ruolo assolutamente marginale nel nostro Paese.
Dall’altro la complessiva sfiducia dei lavoratori, delle
lavoratrici, dei pensionati e delle pensionate, nei nostri confronti
e, più in generale, nei confronti dei ruoli di rappresentanza.
Le
sfide che ci attendono sono molte e sarebbe necessario che la CGIL si
attrezzasse per affrontarle per tempo.
Da
ormai diverso tempo la CGIL ha una costante diminuzione delle risorse
economiche disponibili sia per quanto riguarda le categorie, con
alcune in forte sofferenza finanziaria, sia, di conseguenza, per le
confederazioni. I futuri provvedimenti annunciati dal Governo, tagli
di risorse per i patronati e per i CAAF, si aggiungono, quindi, ad
una situazione già di per se complicata sotto il profilo economico
finanziario.
A
queste oggettive difficoltà già presenti nella nostra
organizzazione, si aggiungono le incertezze sul futuro delle modalità
di adesione al Sindacato considerando le implicazioni che deriveranno
dall’applicazione delle normative previste dal jobs act le quali,
contraendo i diritti e le sicurezze delle lavoratrici e dei
lavoratori, rischiano di diminuire sempre di più le iscrizioni con
delega al sindacato, unica fonte certa di finanziamento, e di
aumentare la conflittualità con conseguente aumento della spesa per
poter garantire le tutele individuali delle lavoratrici e dei
lavoratori.
È
necessario che la CGIL, tutta la CGIL, si attrezzi per tempo per far
fronte alle future difficoltà studiando nuove forme di adesione alla
nostra organizzazione e nuove modalità per rispondere ai nuovi
bisogni, ai bisogni che non abbiamo saputo cogliere in questi anni,
alle modifiche dei rapporti di lavoro ed al tema, sempre presente,
della precarietà. NiDIL è un primo passo ma non può essere
l’unico.
La
conferenza ritiene necessario che la CGIL riprenda, con più forza,
il proprio ruolo sul tema dei rinnovi contrattuali e delle pensioni.
La recente sentenza della Corte Costituzionale, sul blocco delle
rivalutazioni delle pensioni, ha dimostrato le ragioni dei lavoratori
e delle loro rappresentanze, ma anche evidenziato i limiti delle
azioni messe in campo.
Non
è solo un problema che riguarda il livello nazionale. Anche la CGIL
Vercelli Valsesia deve coinvolgere sempre più l’intera
organizzazione, le lavoratrici e i lavoratori, le pensionate ed i
pensionati, nella costruzione dei propri percorsi rivendicativi.
Con
queste nuove modalità dobbiamo costruire le piattaforme per la
contrattazione sociale territoriale. Un nuovo modello di condivisione
che deve vedere, in tutte le sue fasi, l’impegno dell’insieme
dell’organizzazione iniziando dalla preparazione delle piattaforme,
facendo riferimento alle
esperienze
di questi anni con lo SPI e le sue leghe, sia nella successiva fase
attuativa. Un’attenzione particolare occorrerà prestare alla
vertenzialità, anche con l’obiettivo di operare un coordinamento e
un monitoraggio tra le categorie in merito a contenziosi o azioni
legali riguardanti tematiche di comune interesse. In quest’ottica
la conferenza ritiene necessario un potenziamento dell’ufficio
vertenze, una verifica delle convenzioni con i legali e dei costi
legati alle vertenze.
Alle
difficoltà economiche, si aggiungono quelle derivanti da un mutato
quadro istituzionale, che ha modificato i confini di riferimento in
cui agiscono le nostre controparti, che rende difficile confrontarsi
con le vecchie modalità per gli interessi che noi vogliamo
rappresentare.
È
un altro dato oggettivo che, in tutti i nostri settori di
riferimento, l’ambito provinciale non è più l’orizzonte in cui
dobbiamo confrontarci e misurarci. Se i capitali si sono sempre mossi
in ambito sovranazionale, oggi anche le scelte strategiche locali si
muovono in ambiti diversi da quelli che conoscevamo. A nessuno credo
sfugga che le politiche sanitarie, quelle sociali, quelle industriali
e quelle sui servizi, si muovono oltre i nostri confini e coinvolgono
territori diversi che hanno, anche sotto il profilo morfologico,
conformazioni diverse.
Per
far fronte a queste nuove sfide le altre Organizzazioni sindacali,
quelle datoriali ed anche alcune pubbliche amministrazioni, hanno
modificato la loro organizzazione territoriale. Pensiamo all’Area
vasta pensata dalla Regione per la gestione dei servizi delle
Province, al quadrante in Sanità all’idea di accorpare le Camere
di Commercio. Tutte modalità che rispondono a due criteri
sostanziali: risparmiare risorse, garantire il più possibile i
servizi. Tutti questi soggetti stanno cercando di attrezzarsi per le
nuove sfide economiche, sociali e politiche. Al contrario la nostra
Organizzazione continua a muoversi, a ragionare ad agire all’interno
dei propri territori con l’unica positiva eccezione della CGIL di
Novara e Verbania.
La
CGIL Vercelli Valsesia ritiene che sia sempre più necessario agire,
progettare, e pensare la propria azione politica ed organizzativa in
un ambito sovra provinciale. Questo non vuol dire chiudere
l’esperienza positiva delle attuali articolazioni territoriali
della CGIL e meno che mai delle Camere del Lavoro. Nessuno vuol far
si che venga cancellata in un solo colpo la storia delle nostre
Camera del Lavoro (Vercelli e Borgosesia) o di quelle di Biella,
Novara e Verbania. La conferenza di organizzazione della CGIL
Vercelli Valsesia ritiene necessario dare mandato alla propria
segreteria provinciale di riprendere al più presto la discussione
iniziata tempo fa’ insieme alla CGIL Piemonte, alle Categorie
regionali ed alle Camere del Lavoro piemontesi, con l'obiettivo di
ottimizzare le risorse umane ed economiche, creando i presupposti ad
accorpamenti funzionali delle Camere del Lavoro, o delle categorie,
che ne avranno la possibilità e le condizioni.
La
conferenza ritiene altresì che sia necessario:
Uno
sforzo maggiore, così come peraltro previsto dal documento
nazionale della nostra conferenza, al fine di fornire un’adeguata
formazione ai quadri ed ai delegati, anche finanziando un apposito
fondo al fine di garantire i necessari permessi e distacchi
sindacali.
Avviare
una serie di iniziative in favore dei migranti, al fine di
contrastare le derive di intolleranza e di razzismo che arrivano, in
maniera demagogica, da alcuni orientamenti politici che cavalcano le
paure delle persone ai soli fini elettorali.
Aumentare
i momenti di confronto tra le categorie ed i servizi, anche
utilizzando delle conferenze dei servizi e delle riunioni di
apparato al fine di migliorare le relazioni tra i compagni e
garantire migliori servizi.
Che
la Confederazione, individui contesti produttivi nei quali
sperimentare una pratica contrattuale di sito sistematizzando e
coordinando la presenza e l’azione delle singole categorie. Si
ritiene inoltre utile in generale che nelle situazioni produttive
ove insistano applicazioni contrattuali diverse si proceda al
coordinamento dell’attività delle singole categorie, con
particolare attenzione alla ricostruzione delle filiere produttive e
all’inclusione delle tipologie di lavoro non dipendente e della
somministrazione.
Il
nostro impegno, e quello dell’intera organizzazione, deve essere
finalizzato a far si
che la CGIL non sia solo un luogo fisico, un palazzo, dove entrare
per risolvere i propri problemi, come in qualsiasi ufficio
assistenziale. Ma che continui a essere un luogo di accoglienza,
democrazia e partecipazione attiva per tutte le persone che vogliamo
rappresentare: lavoratrici, lavoratori, pensionate e pensionati.