di Delia Fratucelli
Il 16 dicembre è stato presentato alle Organizzazioni Sindacali e alla stampa, il piano industriale strategico quinquennale di Poste Italiane. Ventiquattro slides, colorate e accattivanti, in realtà uno spot pubblicitario in funzione della collocazione in Borsa delle azioni dell’azienda, per la seconda metà del 2015.
Un
modello di piano industriale in stile “Jobs act”, che i diversi
comparti di Poste conosceranno solo al momento della programmazione,
nel quale l’amministratore delegato Caio promette: tre miliardi
d’investimenti per la trasformazione dell’azienda, assunzioni e
una nuova strategia commerciale, ma non vi è alcun impianto
applicativo reale. Alcuni elementi però sono incontrovertibili e
come tali devono essere valutati.
LA
STRATEGIA AZIENDALE
FINE
DEL SERVIZIO UNIVERSALE
Su
richiesta di Poste, l’AG COM ha concesso che un quarto del
territorio italiano, circa 15 milioni di cittadini, non sia più
servito quotidianamente dal servizio postale,
in questo modo lo stanziamento per il servizio universale, passa da
350 a 260 milioni di euro ed è previsto che nei prossimi anni il
contributo statale diminuisca ancora. Con questi dati è
incontrovertibile la FINE
PROGRAMMATA DEL SERVIZIO
POSTALE UNIVERSALE.
Il piano Industriale prevede: la chiusura di 500 uffici postali, per
moltissime località italiane l’apertura non quotidiana, il
recapito e il ritiro della corrispondenza a giorni alterni. Le
tariffe postali saranno ridisegnate, creando un divario altissimo tra
la tariffa base e quelle prioritarie: si avrà un servizio a due
velocità, lenta e precaria per i territori e settori di popolazione
a basso reddito, veloce e affidabile per il mercato business. Anche i
prodotti finanziari in vendita saranno sempre più duali: oltre ai
vecchi prodotti di risparmio come i Buoni Postali, che forniscono un
basso, ma relativamente sicuro rendimento, venderanno fondi
d’investimento a medio e alto rischio. Una strategia duplice che,
possiamo prevedere, sarà temporanea; una volta diminuite risorse e
interesse per quel che rimane del servizio pubblico, sarà semplice
trasferire e convertire tutte le attività, in funzione esclusiva del
mercato privato.
Per
questa trasformazione di mercato di Poste Italiane, il piano
strategico prevede l’assunzione di circa 5000 laureati, la
conversione di 3000 posti di lavoro già presenti in azienda o nelle
sue consociate e il proseguimento del
sistema di
prepensionamenti incentivati, che hanno già visto l’uscita di
circa 13 mila unità in quattro anni, tagliando
quindi circa 25 mila posti di lavoro in un decennio.
LA
STRATEGIA SINDACALE
Tutte
le organizzazioni sindacali presenti in Poste sono rimaste spiazzate
da un piano strategico omertoso, che non prevede esuberi di personale
e nonostante diversi gradi di accettazione del piano stesso, hanno
posticipato il giudizio alla fase applicativa.
L’unica
obiezione espressa dalla SLC è contro il recapito a giorni alterni,
per il resto la sua valutazione è piena di perplessità: chiede
chiarimenti e verifiche
e auspica una
contrattazione nella fase applicativa. Personalmente dubito che
Caio, abbia interesse a contrattare con le Organizzazioni Sindacali,
probabilmente chiederà la loro complicità per gestire le
conseguenze del piano, perché è evidente che questa strategia
colpirà pesantemente i lavoratori postali. La
chiusura degli uffici, la diminuzione dei servizi e l’uscita di
migliaia di dipendenti ogni anno produrranno inevitabilmente
ricollocamenti forzati, spostamenti coatti, aumento del carico di
lavoro, maggiore flessibilità degli orari … tutto questo nella
maggior azienda italiana, che macina utili da più di dieci anni,
grazie alla spremitura dei suoi dipendenti.
Intanto
la prima settimana di dicembre è stato sottoscritto un accordo
ponte, al posto del rinnovo del contratto scaduto nel 2012; di per sé
un accordo di vacanza contrattuale potrebbe essere accettabile, se il
testo non prefigura arretramenti e le motivazioni reali della scelta
sono espresse dai firmatari.
Il testo dell’accordo stabilisce che il prossimo rinnovo
contrattuale, che dovrebbe essere sottoscritto a fine 2015, userà
per il calcolo del piede parametrale, l’indice IPCA, degli ultimi
tre anni. Tanto
valeva scrivere: “Se va bene, non ci saranno
aumenti, se continua
la deflazione, preparatevi a stipendi ridotti!”.
Sarei curiosa di sapere quando la CGIL ha cambiato parere sull’IPCA,
perché all’ultimo congresso (che si è svolto nell’aprile 2014),
tutti si erano espressi contro l’IPCA, che contribuisce a diminuire
le contribuzioni. Poiché non è l’unico accordo ponte di questa
stagione contrattuale, bisogna dire che l’interesse delle aziende è
predominante, se non esclusivo.
Poste
Italiane giungerà al rinnovo del contratto a fine 2015, con la
possibilità di
usare da una parte
il martello del JOBS ACT e dall’altra l’incudine della
valutazione delle azioni in borsa. Un contratto stipulato con questi
rapporti di forza determinerà una limitazione dei diritti dei
lavoratori postali.
Nei
direttivi della SLC, come in quelli nazionali della CGIL, è ripetuto
troppo spesso che compito di un’organizzazione sindacale è
contrattare. Certo che si! Ma non basta! Come possiamo spiegare il
peggioramento delle condizioni di lavoro dei postali, che
personalmente non avrei mai pensato così radicale e rapido? La
contrattazione è efficace se sono rispettate diverse condizioni, tra
cui, la disponibilità della controparte padronale a contrattare e la
capacità di mobilitazione di una categoria. I postali, invece,
vengono da una quarantennale complicità tra sindacati e azienda. I
dati dell’ultimo sciopero, del 12 dicembre 2014, esprimono
chiaramente la passività della categoria, infatti, la percentuale di
adesione è stata di circa il 10%, (ed è la media del pollo) e in
molte provincie lo sciopero tra i postali non è proprio pervenuto.
Una
categoria così forgiata, avrebbe bisogno di avere delle direzioni
sindacali che prevedano una strategia con “prove tecniche di
resistenza”, un training alla lotta sindacale, che parta dalle
esigenze reali dei dipendenti, come i ritmi di lavoro, la sicurezza …
ecc.
Il
piano strategico di Caio, dovrebbe essere contrastato con decisione
già ora, come doveva essere contrastata l’ipotesi della vendita in
borsa di Poste. Nei prossimi anni il piano industriale sarà fatto
dagli azionisti, in base al rendimento dei loro pacchetti azionari; e
la funzione dei sindacati, che accetteranno queste privatizzazioni,
sarà quella di oscillare tra complicità e impotenza. Eppure proprio
Poste Italiane, per il numero dei suoi dipendenti, per la sua
funzione, per la sua capillarità … potrebbe essere un luogo
favorevole per provare a cambiare radicalmente strategia sindacale.
C’è ancora tempo, spazio ed energie, sprecarli sarebbe criminale.
Delia
Fratucelli RSU Poste Italiane
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